Di Francesca
Eravamo sempre insieme noi tre,
pronte a scattare al suono della campana della ricreazione per uscire in
cortile, perché dovevamo vedere Lui, Francesco della III B, quello cui tutte
andavano dietro e che non guardava nessuna, quello con l’aria da esistenzialista
depresso e il capello pazzo. In realtà TU dovevi vedere lui, ma avevi bisogno
del nostro supporto, perché altrimenti non saresti mai uscita dall’aula, tu
sempre così timida e riservata.
Un giorno Titti ti fece un regalo (ricordi?),
una scatola piena di sorrisi ritagliati da riviste, perché tu eri parca di
sorrisi, o meglio li riservavi solo a noi, alle tue amiche, che eravamo in
grado di capire anche i tuoi silenzi e i tuoi mugugni.
Non sei partita in gita con noi. Io
ero venuta da tua madre con un mazzo di violette, nella speranza di convincerla
(com’è che a 17 anni ci si sente capaci di cambiare la storia?), ma lei era
stata inamovibile e a Parigi io andai senza di te.
Poi andammo all’Università,
scegliendo strade diametralmente opposte, ma continuando a confrontarci su
vecchi e nuovi amori, su “calabri esemplari” e materie insuperabili.
E poi la gioia: “Dolcezze, mi
sposo!” “Come, ti sposi!?! “”Il bouquet è per voi”. E poi tuo figlio, così
bello, così tuo, e la casa da riarredare e le resistenze della famiglia da
vincere… E la felicità, a lavoro finito, per “l’armadio a cappello di gendarme”,
fortissimamente voluto.
Noi non abbiamo mai visto la tua
casa finita. Non ne abbiamo avuto il tempo.
Un male nero ti aveva preso,
allontanandoti da noi.
Conservo con religiosa cura le tue
lettere, con cui continuavi a comunicare con me. Mi parlano di dolore, di tanto
dolore, ma anche di speranza…e di affetto.
Una mattina d’estate te ne sei
andata senza salutarci, ma io e Anto ti pensiamo sempre.
Domenica abbiamo festeggiato il tuo
compleanno insieme, a modo nostro, così come possiamo, e siamo certe che tu, là
dove sei, lo hai festeggiato con noi.
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